La guerra causa disabilità e le persone con disabilità sono le più esposte in caso di conflitto. Nonostante questo, la tutela delle persone con disabilità negli scenari di guerra è affidata all’applicazione di poche e incomplete norme internazionali. Una lacuna a cui solo negli ultimi anni, e con fatica, si sta cercando di porre rimedio.
Si possono guardare le guerre da molti punti di vista: geo-politico, strategico, tecnologico, economico, ambientale, comunicativo, ecc. Come ci ha insegnato Raoul Follereau, AIFO guarda le guerre, in primo luogo, dal punto di vista delle vittime. Le guerre sono diverse le une dalle altre sotto tanti aspetti, ma tutte hanno in comune la violenza e le vittime. Il più delle volte la violenza non viene nascosta, anzi viene esaltata. Chi attacca vuole mettere in evidenza la sua forza, vuole intimorire il nemico, affermare la sua supremazia. Nell’epoca contemporanea sono soprattutto le industrie degli armamenti che esaltano la capacità di distruzione, anche ai fini della difesa, dei propri prodotti. Per l’industria delle armi la guerra è una grande fiera espositiva, un grande mercato che si autoalimenta, una immensa fonte di profitti, da qualunque parte si combatta. È il meccanismo della distruzione e dell’autodistruzione (missili, bombe, siluri, munizioni) a rendere la guerra un evento straordinariamente potente anche dal punto di vista economico.
Per le vittime lo scenario è alquanto diverso. Le forze che si combattono hanno la tendenza a nascondere le proprie perdite per non farle conoscere al nemico, per non scoraggiare le truppe e la popolazione. Si esaltano invece le perdite del nemico per demoralizzarlo, per galvanizzare la propria opinione pubblica. Stiamo assistendo a questa guerra delle cifre sulla guerra proprio in questi anni dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Sappiamo che la guerra moderna, a partire dal secondo conflitto mondiale, provoca più vittime tra i civili che tra le forze armate. La “carne da cannone” non è però venuta meno, come ancora una volta ci ricorda lo scenario ucraino, ma non è l’aspetto più rilevante.
L’enorme capacità distruttiva delle armi moderne, anche quando non colpiscono direttamente la popolazione civile, è tale da provocare comunque la morte o il ferimento di uno spropositato numero di persone che non partecipano direttamente alla guerra. L’esempio più terribile è quello delle armi nucleari. Le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki hanno causato l’immediata morte di decine di migliaia di persone, seguita da quella, anche a distanza di anni, delle persone esposte alle radiazioni e sopravvissute in un primo momento.
Ma non è finita qui: è vero che dopo Hiroshima e Nagasaki le armi nucleari non sono state più usate in guerra, ma sono continuati gli esperimenti. Questi test hanno a loro volta provocato vittime più o meno numerose nelle regioni dove sono stati condotti. Dall’atollo di Bikini al Sahara i test nucleari hanno disseminato radiazioni e vittime, a distanza anche di molto tempo, e sono stati all’origine delle iniziative per l’interdizione degli esperimenti. Intanto la potenza di questi ordigni è cresciuta esponenzialmente e non ci lascia certo più tranquilli la disponibilità di armi nucleari “tattiche”, ipoteticamente in grado di circoscrivere gli obiettivi su un campo di battaglia.
Nella guerra moderna e tecnologicamente avanzata le vittime civili sono tenute generalmente nascoste da chi le provoca, tanto sono cresciuti nell’opinione pubblica lo sdegno e il rifiuto della guerra e delle sue orribili conseguenze. Si è dovuti ricorrere, nella propaganda di guerra, a concetti di mascheramento come guerre o armi “intelligenti”, guerre “umanitarie”, guerre “preventive” oppure “effetti collaterali” per nascondere le vittime civili.
La guerra come prima causa di disabilità
Ma non ci sono solo le morti. Nelle guerre sopravvivono persone che portano i segni dei traumi della violenza: ferite, mutilazioni, traumi psichici, abusi sessuali. La guerra è la causa principale della disabilità nei territori investiti dai conflitti. Alcune armi sono del resto concepite non solo per uccidere i civili ma per procurare volutamente disabilità. In questo modo il marchio della guerra segnerà più in profondità le popolazioni, per minarne la resistenza, e per far lievitare i costi per soccorrere e curare le persone ferite.
È il caso delle mine antipersona che, disseminate sui campi di battaglia, non uccidono solo i soldati, poiché il terreno dello scontro può spostarsi mentre le mine rimangono e allora colpiscono i civili. Inoltre, continuano a uccidere e a ferire anche a guerra finita. Prima che lo sminamento abbia ripulito un territorio, queste armi continuano subdolamente a mietere vittime o a procurare disabilità, soprattutto alcuni tipi di mine come i Pappagalli Verdi, di cui Gino Strada ci ha lasciato memoria in un magistrale libro. Ancora più terribili sono le armi-giocattolo fabbricate apposta per colpire bambini e bambine, le persone più indifese e fragili, per recidere alla base una popolazione e per marchiarla per sempre. Un trattato internazionale, entrato in vigore nel 1999, le ha messe al bando, ma molti Paesi non vi aderiscono (Usa, Cina, Russia ad esempio) e continuano a produrle, a utilizzarle e a venderle.
Secondo l’Osservatorio mine, nel 2023 le mine hanno fatto oltre 5.700 vittime, di queste l’84% sono dei civili, negli ultimi dieci anni si assiste ad un impiego sempre più frequente di mine e dunque di vittime. Lo stesso discorso vale per le bombe a grappolo che disperdono grandi quantità di piccoli ordigni (submunizioni) su un ampio raggio di territorio dove spesso rimangono inesplosi e che, al pari delle mine, costituiscono un grave rischio per la popolazione civile.
Le persone a cui la guerra provoca disabilità sono il più possibile tenute nascoste nelle informazioni ufficiali. Sono corpi nascosti, dimenticati, perché il loro impatto sarebbe troppo forte, insopportabile. Le persone con disabilità causata dalla guerra sono due volte vittime: delle armi e del silenzio. Può però capitare che il corpo esposto possa servire come strumento di terrore. Durante la guerra civile in Sierra Leone (1991-2002) le persone subivano in pubblico amputazioni agli arti con il machete soprattutto per terrorizzare la popolazione tanto è vero che tra le vittime non c’erano solo uomini, a cui le mani tagliate potevano avere lo scopo di non far imbracciare un fucile, ma anche bambini e donne. Quando vuole essere crudele la guerra può usare anche armi povere ma efficaci per seminare terrore e disabilità.
La protezione delle persone con disabilità durante i conflitti
Le guerre sono ancora più dolorose e rischiose per le persone con disabilità. Di fronte alla guerra e alle violenze le persone cercano di fuggire, ma i sistemi di allerta e di evacuazione non tengono conto delle persone con disabilità. Queste persone sono anche le più esposte a violenze, comprese quelle sessuali, e per loro è più difficile accedere alle cure. Sono anche quelle più esposte alla morte.
La prima e tremenda costatazione è che le persone con disabilità sono le grandi dimenticate negli scenari di guerra, un paradosso perché costituiscono una parte non effimera della popolazione. L’OMS stima che oggi 1 miliardo e 300 mila persone ha una qualche forma di disabilità, è il 16% della popolazione totale della Terra. Possiamo dunque dire che le persone con disabilità sono la minoranza più consistente tra le minoranze nel mondo. Malgrado ciò la loro presenza negli scenari di guerra non è quasi mai presa in considerazione. Sono una forte minoranza ma invisibile. Non ne parlano i libri di storia, non ne parlano i manuali militari, sono comprese nell’insieme dei “gruppi vulnerabili” ma non viene data loro una particolare attenzione. Una Carta per l’inclusione delle persone con disabilità nell’azione umanitaria è stata adottata nel 2016, ma stenta ancora a farsi largo nella pratica, senza disposizioni e strumenti specifici e risorse economiche.
L’esperienza di AIFO nei paesi devastati dalla guerra, dal Mozambico, alla Sierra Leone, alla Liberia, conferma questa costatazione, anche se la nostra organizzazione non è specialmente presente sui teatri di guerra ma è una testimone delle situazioni che vivono le persone con disabilità. Da questa esperienza emerge anche che non tutte le disabilità vengono prese in considerazione, ad esempio c’è una grave mancanza nei confronti delle persone con disabilità mentale, anche questo è un paradosso se si pensa ai traumi psichici che le guerre provocano.
Proprio dal punto di vista delle persone con disabilità appare evidente che la guerra è sempre più crudele, esercizio puro di violenza, azzeramento di qualunque diritto. Perché la guerra serve ad annullare il nemico, senza tante distinzioni. Per questo l’art. 11 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, che prevede “la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio, incluse le situazioni di conflitto armato, le emergenze umanitarie e le catastrofi naturali” non viene di fatto osservato dalle parti in conflitto. Anche a una superficiale osservazione su quanto accade in tutti in conflitti in corso non appare nessuna specifica esigenza di salvaguardare le persone con disabilità. Se questo accade è anche perché non sembra esserci più, come appare nella concezione dei nuovi tipi di armi e nella conduzione della guerra, la volontà di preservare la vita umana. Siamo tornati alla macelleria di biblica memoria. Il tentativo di dare alle persone con disabilità non più una veste rassegnata di vittime, ma di riconoscere loro diritti e opportunità anche durante i conflitti si è dimostrato per il momento inefficace. Lo sarà fino a quando non ci sarà una maggiore presa di coscienza da parte della popolazione in generale, grazie soprattutto al lavoro delle persone con disabilità che, attraverso le loro associazioni, sono in grado più di qualunque altra istanza di rappresentare la violenza che viene esercitata nei loro confronti e la necessità di superarla.
Leggi di più sull’Impegno di AIFO per i diritti delle persone con disabilità
Questo articolo, scritto da Luciano Ardesi, caporedattore del nostro periodico Amici di Follereau, è presente nel numero di gennaio-marzo 2025, puoi sfogliarlo qui oppure chiedere di riceverlo direttamente a casa.