L’educazione inclusiva in situazioni di povertà

Per bambine/i con disabilità il contesto sociale come ulteriore fattore di esclusione.  

In Mozambico, il sistema educativo è ostacolato da problemi di analfabetismo, carenza di risorse e discriminazioni, che compromettono il diritto all’istruzione per tutti, non solo per gli alunni con disabilità. A fronte di queste sfide, Terre del Hommes, AIFO e l’Università di Macerata assieme a partner locali strategici tra cui ministeri e associazioni locali per i diritti delle persone con disabilità, stanno realizzando il EDUC-IN, mirato a promuovere l’educazione inclusiva nelle scuole pubbliche di 3 regioni del Paese.

Il progetto utilizza una metodologia partecipativa, lavorando dal basso per influenzare il sistema educativo nazionale. Tra le attività principali, vi è il coinvolgimento delle comunità locali, delle famiglie e delle associazioni, per generare consapevolezza sull’importanza dell’inclusione non solo nelle scuole, ma anche nel contesto sociale. Il progetto punta a creare una rete che garantisca l’accessibilità culturale, fisica e infrastrutturale, integrando scuole ordinarie e speciali in un unico sistema educativo inclusivo.

Il progetto rappresenta una forma di cooperazione internazionale che promuove il valore delle competenze condivise, con l’obiettivo di creare un cambiamento significativo nel sistema educativo e sociale del Mozambico.

Luciano Ardesi, Caporedattore del periodico AIFO “Amici di Follereau” ha intervistato Arianna Taddei, docente di Didattica e Pedagogia speciale all’Università di Macerata, esperta di educazione inclusiva coinvolta nel progetto.

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Il suo insegnamento universitario viene da una lunga esperienza sul campo in contesti di povertà e violenza. Che cosa ha significato lavorare in quei contesti?

Ho scoperto l’importanza dell’educazione nei contesti dove c’è un conflitto e c’è un’altissima vulnerabilità. Attraverso la collaborazione con diverse ONG abbiamo lavorato sia sulle politiche educative sia sulle pratiche e quindi sulla formazione degli insegnati. Ci siamo resi conto che la disabilità non era l’unica emergenza e che vi erano altre condizioni, familiari, economiche, sociali che determinavano il fenomeno dell’esclusione.

Come deve porsi la cooperazione internazionale in contesti così difficili?

È assolutamente utile andare in questi Paesi adottando però un atteggiamento rispettoso di ciò che già esiste; quindi, non per cercare di trasferire dei modelli ma per condividere esperienze che magari nel nostro Paese hanno avuto successo ma che non possono essere replicate allo stesso modo. Le trasformazioni che ho visto sono avvenute quando c’è stato un lavoro alla pari e quindi il cooperante assume il ruolo di attivatore di risorse e di cambiamento insieme a loro. La trasformazione culturale ovviamente ha bisogno di molto tempo e per far sopravvivere i cambiamenti che vengono generati dalla cooperazione è necessario rendere protagoniste e responsabili le persone altrimenti nel momento in cui sono considerate solo esecutrici, loro stesse si deresponsabilizzano e di conseguenza, quando poi il progetto finisce e finiscono i finanziamenti, finisce tutto il resto.

Collabora con AIFO in Mozambico per il progetto EducIn, capofila Terres des Hommes, sull’educazione inclusiva, e di cui l’Università di Macerata è partner. Che cosa l’ha colpita di più visitando e lavorando con le persone in Mozambico?

La disabilità è percepita ancora come una condizione di cui vergognarsi, per questo è difficile includere bambini con disabilità in un contesto dove il tasso di analfabetismo è molto alto, perché il sistema educativo è talmente povero che non ha abbastanza insegnanti e strutture. Visitando un centro a Maputo ho appreso che molte mamme nel momento in cui partoriscono bambini con disabilità vengono immediatamente abbandonate dai loro partner, rappresentando ancora una vergogna di fronte alla comunità. Allora queste donne per non restare sole ed essere accettate dalle loro famiglie sono costrette ad abbandonare i loro figli per strada.  Con AIFO stiamo operando proprio sulla cultura e sulla promozione di pratiche inclusive in un contesto molto povero, anche se a volte è molto difficile vedere i cambiamenti in questi contesti, proprio perché ci sembrano non abbiano gli strumenti. In realtà non è così, nel senso che tutto quello che viene seminato attraverso la formazione comunque genera, con tempi che non sono quelli che ci immaginiamo, delle trasformazioni.

Stiamo parlando di bambini e bambine, esiste una questione di genere a proposito della disabilità?

Le bambine con disabilità sono ancora più escluse dei bambini con disabilità dalla scuola perché vivono la doppia discriminazione. Vengono emarginate in quanto bambine e quindi sono costrette a lavorare a casa, a prendersi cura della famiglia, dei fratellini in un contesto dove la cultura maschilista è ancora molto forte. Nel caso delle bambine con disabilità questa discriminazione è ancora più forte per cui spesso sono totalmente invisibili perché non vengono iscritte nei registri anagrafici, e culturalmente non sono accettate.

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